Quali sono i sintomi dell'osteoporosi?

2023-02-09
Quali sono i sintomi dell'osteoporosi?

L'osteoporosi è una condizione senza sintomi. Un paziente, infatti può avere un quadro di compromissione grave dello scheletro e non avere nessun sintomo, né dolori ossei né dolori muscolari. Si può quindi dire che l'osteoporosi non è annunciata da una sintomatologia, che si manifesta quando compaiono le fratture. 

L'unica manifestazione clinica dell'osteoporosi sono le fratture. Un'attenzione particolare va posta al mal di schiena, dietro a un dolore alla schiena può esserci una frattura o più fratture delle vertebre e se non viene effettuata una radiografia della colonna, possono passare come non diagnosticate.

Quale esami ci aiuta a identificare l’osteoporosi?

Nelle persone che non hanno avuto avuto fratture, l’esame diagnostico cardine dell'osteoporosi resta la densitometria ossea

L’esame si conduce con una tecnica ormai consolidata: doppio raggio x o DXA (Dual-energy X-ray Absorptiometry) che consente di valutare l'integrità dello scheletro anche prima che compaiono le fratture. 

È importante dire che non c'è un’unica e stretta corrispondenza tra densità ossea e osteoporosi, perché sono molti i fattori che ci consentono di diagnosticare la fragilità scheletrica anche prima che compaiano le fratture:

  • malattie che sono causa di osteoporosi
  • la familiarità, un elemento di grande rilievo. 
  • farmaci che possono compromettere l'osso.

La valutazione della persona per la fragilità scheletrica prima delle fratture non può prescindere dalla densitometria, ma mette insieme quest’ultima e un insieme di elementi di rischio clinico: i fattori di rischio.

 

Dottor Marco Di Monaco
Specialista in Medicina fisica e riabilitazione, specialista in Endocrinologia e Malattie del ricambio

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Mi chiamo Alessandra Comazzi, sono giornalista, torinese, ho 67 anni e sono neuropatica. Mi occupavo di spettacoli, facevo il critico televisivo per un quotidiano, La Stampa. Adesso mi occupo soprattutto di tornare a camminare e di reimparare a usare le mani. Un bel salto anche emotivo. Perché c’è la fede, certo, ma poi ci sono la carità, e la speranza. Le tre virtù cardinali. E ho imparato che forse, in certi momenti difficili, proprio la speranza è la virtù più impervia.

Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.

 

Leggi la testimonianza nell'articolo de L'Osservatore Romano

Alessandra Comazzi, giornalista piemontese, racconta in modo profondo e coinvolgente la sua malattia e l’esperienza fatta tra le mura del nostro Presidio.

Ecco qualche breve stralcio dell’articolo:

 

"Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.”

 

Infine aggiunge un ringraziamento molto speciale:

"La mia è una semplice testimonianza, non ho competenze tecniche o scientifiche. In questo percorso che non è solo riabilitativo, ma è anche di fede e ringraziamento, vorrei restituire a tutte le donne e gli uomini che mi sono stati e mi sono vicini, qualcosa di quello che mi è stato donato. Il dono di medici, infermieri, operatori sociosanitari, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, psicologi, è stata una continua ricerca di senso, oltre che di professionalità”

 

Leggi l’articolo per intero su La Stampa

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