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Incontinenza fecale: sintomi, cause e trattamenti

2025-01-31
Incontinenza fecale: sintomi, cause e trattamenti

L’incontinenza fecale è una condizione altamente invalidante, incide profondamente sulla qualità della vita di chi ne soffre. Dal punto di vista psicologico, fisico e sociale, può determinare forme di isolamento e disagio significative. Un team multidisciplinare di specialisti, come urologi e fisiatri, può prevenire o intervenire per trattare questa condizione ed evitare che diventi totalmente invalidante.

Cos'è l'incontinenza fecale?

L'incontinenza fecale si definisce come l'incapacità di trattenere gas intestinali o feci al di fuori dell'evacuazione. Comporta anche l'incapacità di rimandare l'evacuazione al momento della comparsa dello stimolo.

 

Quali sono le cause dell'incontinenza fecale?

Le cause dell'incontinenza fecale possono essere diverse e includere:

cause neurologiche come l'ictus, patologie midollari infiammatorie o neoplastiche che determinano un'incompetenza neurologica dello sfintere anale;

lesioni degli sfinteri anali possono riguardare lo sfintere anale interno ed esterno e avere un'origine iatrogena, ossia derivante da interventi chirurgici. Tra gli interventi che possono causare queste lesioni vi sono quelli per il trattamento di emorroidi complicate, ragadi anali, infiammazioni intestinali o neoplasie.

 

Come si cura l'incontinenza fecale?

Il trattamento dell'incontinenza fecale si basa su diverse metodologie:

• con la terapia comportamentale, che mira a migliorare l'alimentazione e la consistenza delle feci per ridurre gli episodi di incontinenza;

• con presidi anti-incontinenza, che possono essere necessari in alcuni casi per contenere il problema;

• con la riabilitazione, che rappresenta uno dei trattamenti principali secondo le linee guida internazionali. In Italia sono stati istituiti centri di riferimento specializzati nella terapia riabilitativa e comportamentale, dove fisioterapisti o altri specialisti insegnano ai pazienti tecniche per il rinforzo del pavimento pelvico e strategie alimentari e di svuotamento intestinale per migliorare la sintomatologia.

 

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Mi chiamo Alessandra Comazzi, sono giornalista, torinese, ho 67 anni e sono neuropatica. Mi occupavo di spettacoli, facevo il critico televisivo per un quotidiano, La Stampa. Adesso mi occupo soprattutto di tornare a camminare e di reimparare a usare le mani. Un bel salto anche emotivo. Perché c’è la fede, certo, ma poi ci sono la carità, e la speranza. Le tre virtù cardinali. E ho imparato che forse, in certi momenti difficili, proprio la speranza è la virtù più impervia.

Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.

 

Leggi la testimonianza nell'articolo de L'Osservatore Romano

Alessandra Comazzi, giornalista piemontese, racconta in modo profondo e coinvolgente la sua malattia e l’esperienza fatta tra le mura del nostro Presidio.

Ecco qualche breve stralcio dell’articolo:

 

"Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.”

 

Infine aggiunge un ringraziamento molto speciale:

"La mia è una semplice testimonianza, non ho competenze tecniche o scientifiche. In questo percorso che non è solo riabilitativo, ma è anche di fede e ringraziamento, vorrei restituire a tutte le donne e gli uomini che mi sono stati e mi sono vicini, qualcosa di quello che mi è stato donato. Il dono di medici, infermieri, operatori sociosanitari, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, psicologi, è stata una continua ricerca di senso, oltre che di professionalità”

 

Leggi l’articolo per intero su La Stampa

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