Il rischio osteoporosi in gravidanza

2023-11-22
Il rischio osteoporosi in gravidanza

La gravidanza è una condizione di particolare stress per il corpo della madre: le ossa tendono a indebolirsi a causa dello sviluppo del feto che necessita di molto calcio per la formazione dello scheletro. Per questo motivo l’organismo della donna nel periodo di gestazione si adatta, assorbendo meglio il calcio.

In allattamento, invece, il fisico della donna è impegnato a fornire gli elementi per costruire l’ossatura del neonato attraverso il latte materno senza reazioni adattative di supporto; per questo motivo bisognerà garantire alla madre un buon introito di calcio con gli alimenti e prevenire il deficit di vitamina D, necessaria per la formazione dello scheletro del nascituro. 
A questo proposito, anche il Ministero della Salute raccomanda che tutte le donne in gravidanza e in allattamento assumano la vitamina D: una prassi corretta, perfettamente in linea con la letteratura internazionale e che può consentire di ridurre i rischi di osteoporosi.

I rischi dell’osteoporosi in gravidanza

Le conseguenze possono essere anche molto gravi e la futura madre potrebbe trovarsi in condizioni di rischio anche svolgendo semplici attività quotidiane.

Nel nostro Presidio spesso incontriamo donne giovani e sane che vanno incontro a problematiche di questo tipo a seguito di una normale gravidanza o di un periodo di allattamento.

Pazienti di 30 anni con fratture vertebrali motivate da un allattamento in carenza di calcio e senza integrazione di vitamina D.

L’incidenza dell’osteoporosi nelle donne in gravidanza è, infatti, una patologia poco considerata, spesso i dolori della futura madre o della puerpera sono associati agli sforzi richiesti dal neonato. Ma dietro a un banale mal di schiena possono esserci problematiche a cui dedicare la dovuta attenzione. 

Dottor Marco Di Monaco
Specialista in Medicina fisica e riabilitazione, specialista in Endocrinologia e Malattie del ricambio

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Mi chiamo Alessandra Comazzi, sono giornalista, torinese, ho 67 anni e sono neuropatica. Mi occupavo di spettacoli, facevo il critico televisivo per un quotidiano, La Stampa. Adesso mi occupo soprattutto di tornare a camminare e di reimparare a usare le mani. Un bel salto anche emotivo. Perché c’è la fede, certo, ma poi ci sono la carità, e la speranza. Le tre virtù cardinali. E ho imparato che forse, in certi momenti difficili, proprio la speranza è la virtù più impervia.

Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.

 

Leggi la testimonianza nell'articolo de L'Osservatore Romano

Alessandra Comazzi, giornalista piemontese, racconta in modo profondo e coinvolgente la sua malattia e l’esperienza fatta tra le mura del nostro Presidio.

Ecco qualche breve stralcio dell’articolo:

 

"Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.”

 

Infine aggiunge un ringraziamento molto speciale:

"La mia è una semplice testimonianza, non ho competenze tecniche o scientifiche. In questo percorso che non è solo riabilitativo, ma è anche di fede e ringraziamento, vorrei restituire a tutte le donne e gli uomini che mi sono stati e mi sono vicini, qualcosa di quello che mi è stato donato. Il dono di medici, infermieri, operatori sociosanitari, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, psicologi, è stata una continua ricerca di senso, oltre che di professionalità”

 

Leggi l’articolo per intero su La Stampa

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