I disturbi dello spettro autistico: di cosa si tratta?

2023-02-14
I disturbi dello spettro autistico: di cosa si tratta?

 

Che cos’è l’autismo?

Quando parliamo di autismo, ci sono vari sinonimi ma al giorno d'oggi intendiamo sindrome autistica, proprio per dare un'idea di uno spettro di una varietà e di rispetto dei vari individui e delle loro famiglie.

Nel tempo si sono avvicendati termini quali disturbo della alterazione globale dello sviluppo, disturbo generalizzato dello sviluppo, disturbo pervasivo dello sviluppo. Sono tutti sinonimi. 

Al giorno d'oggi intendiamo il disturbo dello spettro autistico come un disturbo generalizzato a una serie di funzioni evolutive del bambino a partire sin dall'età precoce.

Il termine e il suo contenuto etimologico (autos) fa riferimento a se stesso, quindi a una chiusura del soggetto nei confronti di quella che l'interazione e la quotidianità che lo circonda. 

La caratteristica principale è definita da una diade, ovverosia parliamo di comunicazione affettiva dove la realtà della socialità e quella della comunicazione sono state fuse insieme e associate a dei disturbi che sono dei comportamenti di carattere per l'appunto atipico: fissità per certi interessi, tendenza a ripetere determinati argomenti. 

Ciò si rapporta con le varie età di sviluppo e di crescita del bambino.

Quali sono i sintomi dell’autismo?

Alla nascita del bambino ci sono delle evidenti alterazioni neurologiche ma anzi, possiede una condizione di benessere a livello di comunicazione, di interazione, di sguardi, di gioco e di modalità di scambio con le persone che vi sono accanto, in primis i genitori e la famiglia allargata.

Pian piano però, nel primo anno di vita o nei primi 12/18 mesi,  questi elementi è come se andassero a decrescere.

Quindi certe funzioni che si stavano sviluppando si vanno riducendo, qualche esempio:

  • Gli albori di una comunicazione verbale che si va poi a ridurre. 
  • bambini che incominciano a indicare e perdono la capacità di indicare o non l'hanno mai acquisita. 
  • bambini che incominciano ad avere delle difficoltà di disturbo a livello sensoriale. Cominciano quindi a dimostrare fastidio per determinati suoni, per esempio tappandosi le orecchie. 
  • Non hanno un’interazione ordinaria con il genitore, la coppia genitoriale

A che età si può diagnosticare l’autismo? 

Una quindicina di anni fa le diagnosi di autismo incominciavano a essere definite quando un bambino aveva già intorno ai cinque o sei anni. Immaginiamo tutto il tempo intercorso dalla nascita a un'epoca di questo tipo. 

Presso i centri di neuropsichiatria territoriali nazionali che abbiano delle competenze formative adeguate, oggi riusciamo a fare diagnosi con una discreta consapevolezza da un'età  compresa tra i 18 e i 24 mesi.

Le linee guida ci dicono che è fondamentale che il bambino al contempo entri in un contesto sociale. Quindi abbiamo delle ipotesi diagnostiche che possono essere suffragate nel momento in cui il bambino entrando al nido o alla scuola materna, quindi intorno 18/ 24 mesi per il nido o intorno 36 mesi per la scuola materna.

 

Dott. Giovanni Geninatti Neni
Neuoropsichiatra infantile 

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Mi chiamo Alessandra Comazzi, sono giornalista, torinese, ho 67 anni e sono neuropatica. Mi occupavo di spettacoli, facevo il critico televisivo per un quotidiano, La Stampa. Adesso mi occupo soprattutto di tornare a camminare e di reimparare a usare le mani. Un bel salto anche emotivo. Perché c’è la fede, certo, ma poi ci sono la carità, e la speranza. Le tre virtù cardinali. E ho imparato che forse, in certi momenti difficili, proprio la speranza è la virtù più impervia.

Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.

 

Leggi la testimonianza nell'articolo de L'Osservatore Romano

Alessandra Comazzi, giornalista piemontese, racconta in modo profondo e coinvolgente la sua malattia e l’esperienza fatta tra le mura del nostro Presidio.

Ecco qualche breve stralcio dell’articolo:

 

"Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.”

 

Infine aggiunge un ringraziamento molto speciale:

"La mia è una semplice testimonianza, non ho competenze tecniche o scientifiche. In questo percorso che non è solo riabilitativo, ma è anche di fede e ringraziamento, vorrei restituire a tutte le donne e gli uomini che mi sono stati e mi sono vicini, qualcosa di quello che mi è stato donato. Il dono di medici, infermieri, operatori sociosanitari, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, psicologi, è stata una continua ricerca di senso, oltre che di professionalità”

 

Leggi l’articolo per intero su La Stampa

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