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Guidare dopo un ictus: cosa dice la legge?

2024-09-25
Guidare dopo un ictus: cosa dice la legge?

È possibile tornare a guidare dopo un ictus ed è per questo che è nato il progetto Guida Sicura del nostro Presidio.

L'articolo 119 del Codice della Strada, infatti, riconosce alla persona con disabilità la possibilità di ritornare alla guida di un veicolo, purché non vi siano condizioni tali da compromettere la sicurezza. All'insorgere di una patologia, una persona patentata non ha l'obbligo di segnalarlo, tuttavia è responsabilità del cittadino rivolgersi volontariamente agli enti deputati e sottoporsi a una valutazione.

 

Qualora questo non accadesse e la persona continuasse a guidare, l'assicurazione potrebbe non rispondere contrattualmente in caso di sinistro e rivalersi successivamente sul proprio assicurato, assimilando l'evento a una guida senza patente. In Italia, l'ente deputato alla valutazione dell'abilità di guida è la Commissione Medica Locale.

 

Chi ha avuto un ictus può rinnovare la patente?

La persona dovrà dunque denunciare la propria situazione presso le autoscuole oppure direttamente presso la Commissione Medica. Dovrà presentarsi in sede di Commissione con tutta la documentazione clinica e l'esito potrà:

  • confermare la patente in corso di validità
  • trasformare la patente in una patente speciale, quindi una patente con limitazioni o adattamenti per compensare il deficit presente
  • annullare o sospendere la patente in corso.

 

Leggi l'articolo sull'impegno del nostro Presidio nell'articolo de La Stampa: "Prove di guida con simulatore  per favorire la riabilitazione"
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Mi chiamo Alessandra Comazzi, sono giornalista, torinese, ho 67 anni e sono neuropatica. Mi occupavo di spettacoli, facevo il critico televisivo per un quotidiano, La Stampa. Adesso mi occupo soprattutto di tornare a camminare e di reimparare a usare le mani. Un bel salto anche emotivo. Perché c’è la fede, certo, ma poi ci sono la carità, e la speranza. Le tre virtù cardinali. E ho imparato che forse, in certi momenti difficili, proprio la speranza è la virtù più impervia.

Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.

 

Leggi la testimonianza nell'articolo de L'Osservatore Romano

Alessandra Comazzi, giornalista piemontese, racconta in modo profondo e coinvolgente la sua malattia e l’esperienza fatta tra le mura del nostro Presidio.

Ecco qualche breve stralcio dell’articolo:

 

"Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.”

 

Infine aggiunge un ringraziamento molto speciale:

"La mia è una semplice testimonianza, non ho competenze tecniche o scientifiche. In questo percorso che non è solo riabilitativo, ma è anche di fede e ringraziamento, vorrei restituire a tutte le donne e gli uomini che mi sono stati e mi sono vicini, qualcosa di quello che mi è stato donato. Il dono di medici, infermieri, operatori sociosanitari, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, psicologi, è stata una continua ricerca di senso, oltre che di professionalità”

 

Leggi l’articolo per intero su La Stampa

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