La musicoterapia al San Camillo: uno strumento prezioso per affrontare problematiche neurologiche

2019-05-08
La musicoterapia al San Camillo: uno strumento prezioso per affrontare problematiche neurologiche

Il Presidio Sanitario San Camillo di Torino dal 2001 offre un servizio di Musicoterapia, per un lavoro di équipe nell'affrontare le problematiche di salute che vengono prese in esame e curate. Il referente è il professor Maurizio Scarpa, musicista e musicoterapista.

Come nasce la musicoterapia?
Dalle esperienze umane. Nell'antica Grecia il dio Apollo calmava le ire con il suono della cetra. Ne parlavano Platone e Pitagora, la musica è sempre esistita come cura. Oggi si fa invece fatica ad accettarla, perché si pensa abbia solo una funzione commerciale. Da oltre quarant'anni la musicoterapia è stata attivata in tutto il mondo, in Italia non viene invece ancora riconosciuta come specializzazione sanitaria.

Come funziona?
La musica attiva aree cerebrali che non possono essere raggiunte in altri modi: le neuroscienze cominciano a capire perché la musicoterapia funzioni. Ed è naturale che sia così, perché tutte le caratteristiche della musica appartengono all'uomo.

Che cosa offre il servizio al San Camillo?
Al San Camillo lavoriamo con problematiche neurologiche: riabilitazione da ictus e malattia di Parkinson. Proponiamo una terapia individuale e di gruppo per l'ictus e soltanto di gruppo per il Parkinson, secondo metodologie che abbiamo sviluppato in quasi due decenni di esperienza.

Come intervenite sui malati di Parkinson?
La nostra metodologia prende origine da una stimolazione ritmico-volitiva conosciuta come RAS (Rhythmic Auditory Stimulation). Chi ha difficoltà nel controllo motorio, con il ritmo ristabilisce modalità del cammino: si batte il ritmo. Partendo dal RAS abbiamo creato un modello che va più sulla percezione ritmico-corporea. Se aiuti a migliorare la capacità autopercettiva del corpo si riesce a migliorarne il controllo: più mi conosco e più mi controllo. Lavoriamo sul respiro, sul movimento controllato, sul doppio compito (la capacità di compiere due azioni contemporaneamente) fino ad andare a sottrarre la musica perché il paziente ha sviluppato una capacità ritmica interiore e riesce a muoversi senza aiuto. I risultati sono interessanti.

E su chi è rimasto vittima di un ictus?
Una conseguenza dell'ictus è l'afasia. Lavoriamo molto sulla percezione corporea, usando diapason in bassa frequenza. Le vibrazioni ristabilizzano le funzioni corporee. È molto importante il respiro, che diventa suono: prima vocali, poi, sillabe, quindi parole delle canzoni. Chi è stato colpito da ictus fatica nel parlare non nel cantare. Raggiunta questa fase sottraiamo la musica per lasciare il solo lessico: si tratta di un training per difficoltà crescenti. In questo modo riusciamo ad agire su afasie importanti. Il lavoro deriva dal MIT (Melodic Intonation Therapy), una forma di musicoterapia dalle evidenze scientifiche importanti. Si tratta di Modified Melodic Intonation Therapy, nuovo modello adattato alle persone con cui ci confrontiamo.

Perché funziona il canto?
Attraverso il canto il paziente recupera un senso di autoefficacia che pensava di aver perduto. L'afasico ascolta e decodifica ma non riesce a esprimersi. Invece, quando canta, può farlo in modo chiaro, con conseguenze benefiche generali: scatta il sorriso, cambia la postura.

Quello del San Camillo è un lavoro di gruppo.
Il servizio di Logopedia coglie tutto e adatto quanto indicato dal musicoterapeuta: quale sia la velocità di espressione del paziente, quante sillabe pronunci al minuto. Le persone sono seguite da un'équipe che comprende Terapia occupazionale, Neuropsicologia e Psicologia clinica.

Come è il rapporto del paziente con la musicoterapia?
Solitamente si fidano, perché c'è di mezzo una relazione. Una relazione bella da instaurare, basata sul non verbale. Io parlo poco e allo scopo arriviamo sempre. Usiamo percussioni, strumenti a corda, che invento e costruisco. Poi a fiato, come fischietto e flauto. Sono importanti per un afasico, che deve imparare nuovamente a soffiare. Con i pazienti affrontiamo sedute intorno ai 50 minuti. Sono faticose emotivamente perché lavoriamo molto sulla spinta emotiva. Si sfrutta quello che è un desiderio per attivare le emozioni, è molto stancante.

All'inizio accennava al “non riconoscimento” della musicoterapia in Italia. Al San Camillo è diverso?
Al San Camillo hanno sempre creduto nella musicoterapia. Quando ho cominciato questa esperienza le mie relazioni erano controllate da padre Rossi: solo dopo ho scoperto che era un camilliano che insegnava musicoterapia vocale ad Assisi. Mi ha telefonato e incoraggiato. Otteniamo risultati facendo quattro trattamenti alla settimana. E con Musica e cura, la mia associazione, una volta al mese portiamo la musica al Presidio, per intrattenere i pazienti in un rapporto sempre più stringente.