"Il Natale al San Camillo: è il tempo per vivere una riabilitazione fisica e una spirituale"

2019-12-18

Padre Nicola e padre Marco fanno parte della comunità camilliana, che vive e opera nel Presidio Sanitario. Una presenza discreta ma costante, con caratteristiche diverse rispetto al passato - dovute all'evolversi dei tempi -, però sempre nel solco del carisma di San Camillo de Lellis. Con loro abbiamo fatto una lunga chiacchierata, quanto mai opportuna in un periodo importante per i fedeli (ma non solo) come quello di Natale.

Padre Nicola e padre Marco, ci raccontate la vostra vita al San Camillo a Torino?
Siamo una comunità di quattro religiosi più un seminarista. Ci occupiamo di pastorale giovanile, con un appuntamento fisso al sabato pomeriggio in via Garibaldi davanti alla chiesa della Santissima Trinità. Nel presidio siamo in appoggio: aiutiamo padre Giancarlo Alessandria, il cappellano. La nostra è una è pastorale di prossimità, stiamo vicini agli ammalati. Li seguiamo da un punto di vista spirituale in un momento di criticità qual è quello della malattia. È un passaggio che ci pone di fronte ai limiti umani, quando si sente il bisogno di avere accanto qualcuno che ci aiuti.

Che incontri fate al San Camillo?
Si tratta di una realtà un po' anomala per il suo scopo, che è la riabilitazione. Si arriva in seguito a un evento traumatico invece che per colpa di una malattia cronica. Episodi che accadono all'improvviso, nella quotidianità. È una situazione delicata ma anche una condizione di passaggio, che ha in sé la speranza del recupero di una normalità o, perlomeno, di una mobilità. Il cappellano si mette a fianco del trauma e della speranza: siamo chiamati a dare una parola di speranza a chi non è più tanto autonomo.

L'insegnamento di San Camillo de Lellis è ancora attuale?
San Camillo ci ha lasciato un'eredità: seguire gli ammalati come una madre segue il suo unico figlio infermo. Un invito a “mettere più cuore in quelle mani”. Il nostro compito è quello di avvicinarci ai malati, ai loro parenti e amici, agli operatori con quell'amore che anima una madre. I conventi camilliani sono gli ospedali: senza i malati non ci sono i camilliani. Come camilliani eravamo cappellani in diversi ospedali torinesi ma, per la crisi della chiesa, l'età media dei sacerdoti è molto alta, quindi ci occupiamo di tutto. Una volta si era divisi tra padri, per la vita spirituale, e fratelli, ovvero laici consacrati, per la cura corporale. Basti ricordare l'opera di fratel Ettore a Milano.

Oltre a confortare i malati, che cosa altro fate?
Ci muoviamo secondo le linee della pastorale dei sacramenti, di quelli legati alle persone in queste condizioni: confessione, comunione e unzione degli infermi, molto rara al San Camillo. Poi ci sono gi appuntamenti quotidiani nella cappella al secondo piano: il rosario alle 17.15 e la santa messa alle 17.30. Alla domenica viene celebrata alle 10.30. E il giorno di Natale la celebrazione sarà presieduta alle 19 da padre Walter Dall'Osto, il superiore della nostra comunità.

Qual è oggi il messaggio del Natale?
È espresso dal presepe nell'atrio del San Camillo: la Sacra Famiglia in primo piano e Torino dietro. Per i nostri pazienti la capanna coincide con il punto da cui si vede la città, ai loro occhi è lì che c'è la clinica, un luogo che è quello della Sacra Famiglia. Il paziente vive il Natale partendo dal dato di fatto che le illusioni si sono sciolte: quelle della sua gioventù, quelle della società, quelle che ti illudono di valere qualcosa soltanto se sei indipendente. Al San Camillo scopri invece di essere, come persona, una totale dipendenza. Scopri che la tua realtà è fatta del bisogno di un altro, come capita ai bimbi e agli anziani. È la scoperta del limite. La clinica e il tempo di Natale possono diventare una opportunità, una riabilitazione fisica e spirituale. E qui entra in gioco il cappellano, per tenere il passo delle due riabilitazioni, facendo fare al paziente esperienza di Dio.

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