Portale della Fondazione Opera San Camillo - Risultati ed emozioni del 2024 - Torino
Risultati ed emozioni dell’anno 2024
Al Presidio Sanitario San Camillo, ogni paziente trova non solo cure mediche avanzate, ma anche ascolto, attenzione e sostegno umano. Le testimonianze inserite nel Bilancio Sociale di Sostenibilità sui dati 2024, e presentate dal vivo il 18 novembre 2025, raccontano storie di malattia, riabilitazione e resilienza, mostrando come la professionalità e l’empatia di medici, terapisti e operatori trasformino percorsi complessi in tappe di rinascita e speranza.
Scopri in questa pagina le storie di chi ha affrontato malattia, disabilità e l’impegnativo percorso di riabilitazione con coraggio presso il nostro ospedale.
- Alessandra Comazzi - Rosso 32: vi racconto la mia malattia
- Lorenzo Bartoli - Neurologic Park
- La Mamma di Roberto - Un’oasi di speranza nel mondo dell’autismo
- Tiziana Nasi - Lo vedo con i miei occhi e lo percepisco nel profondo
Testimonianza di Alessandra Comazzi
Rosso 32: vi racconto la mia malattia
Mi chiamo Alessandra Comazzi, ho 69 anni, sono giornalista, e ogni giorno devo imparare a vivere con una me stessa che non conoscevo. Una me stessa debole e traballante, claudicante e fragile, ben oltre i limiti fisiologici dell’età. Circa tre anni fa sono stata travolta dalla sindrome di Guillain-Barré, una polineuropatia acuta di origine autoimmune che colpisce il sistema nervoso periferico, ho trascorso un mese al Mauriziano, quattro mesi al San Camillo, sono uscita sulla sedia a rotelle, poi sono passata al deambulatore, infine al bastone. Al quale mi appoggio tuttora perché cammino molto male, e con fatica. E anche gli arti superiori non sono a posto. Sopravvissuta, ma tanto cambiata. Ecco la mia testimonianza.
Rosso 12. Poi 32: il mio codice identificativo durante il ricovero, sapete che al San Camillo i reparti hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro, Rosso. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Comunque, al reparto Rosso ci sono finita così: era il 7 gennaio 2023, un sabato. Un giorno normale, pranzo, cena, passeggiate con il cagnolino Dulse. Ma la sera, verso le 23, cerco di alzarmi dal divano e crollo. Mio marito Giorgio dice: “Non va mica bene, andiamo al Pronto Soccorso”. Al Mauriziano comincia la trafila. Passano le ore e le analisi: con il prelievo del liquor arriva la diagnosi. Sindrome di Guillain-Barré, una rara malattia che non avevo mai sentito nominare. Il sistema immunitario, per motivi sconosciuti, combatte un virus qualunque presente nel corpo combattendo il corpo. In questo caso, le guaine mieliniche che rivestono le fibre nervose. Il cervello non riesce più a trasmettere segnali ai muscoli. Segue paralisi. E insomma, alle 20 mangiavo gli spaghetti, alle 21 guardavo un film e alle 6 del mattino ero tetraplegica.
Intanto la paralisi saliva, c’era il pericolo che bloccasse anche le vie respiratorie. Dolori fortissimi alla schiena. Ma ero sempre lucida, ancorché inconsapevole della effettiva gravità della situazione. Prontamente trasferita dal Pronto Soccorso al reparto Neurologia, tra tubi e macchine (la vita te la salva, il Sistema Sanitario Nazionale), era subito partita la somministrazione dell’”antidoto”: le immunoglobuline. Se ce la facevo a non morire subito, la malattia sarebbe stata reversibile, ma lunghissima. Dobbiamo intenderci sul concetto di reversibilità. In un primo tempo pensavo che reversibile volesse dire tornare come prima. Ma no. Quando al Mauriziano hanno capito che non morivo, mi hanno trasferito al San Camillo. Ero immobile, non facevo niente da sola: non mangiavo, non mi lavavo, non andavo in bagno. Niente. Adesso, dopo quasi tre anni, ho ancora tanti problemi: sono i muscoli, sono i nervi che continuano a non essere reclutati? Chi lo sa. E in più, com’è ovvio, invecchio. Di certo, son tribolazioni.
Ma la riabilitazione continua. Tutto il 2024, buona parte del 25, col SSN, in solvenza: e tutto molto faticoso, anche economicamente. Benemerito è il day hospital, un pacchetto riabilitativo bellissimo, sempre più prezioso, sempre più difficile da ottenere. Tempi lunghissimi, conosciamo bene i problemi della sanità pubblica. Però, è fondamentale non perdere di vista le cose positive, le eccellenze come quelle che ho trovato al San Camillo. E vorrei ringraziare qui le donne e gli uomini che in questo percorso mi sono stati e mi sono vicini, mi hanno aiutato e ascoltato, durante il ricovero e durante la riabilitazione, quando mi sentivo una “donna di sabbia” o anche “il sarcofago di me stessa”. Quindi grazie a Medici, Infermiere, OSS, Fisioterapisti, Terapisti Occupazionali, Logopedisti, Psicologi, che mi hanno insegnato ad affrontare di nuovo la vita quotidiana. Il sentirsi compresi, oltre che aiutati, è fondamentale. Il Giubileo è dedicato alla speranza. E davvero la speranza è la virtù più impervia. Al San Camillo aiutano il paziente a ritrovarla, a praticarla.
Testimonianza di Lorenzo Bartoli
Neurologic Park
Oggi è il 15 giugno.
Sono passati poco più di due anni dall’evento, come dicono i Dottori. Sollevo il braccio, poi la gamba e mi sento tutto intero. Sì, qualcosa è rimasto indietro, e purtroppo non sarò più in grado di fare il doppio salto mortale indietro con triplo avvitamento, ma me ne farò una ragione. Il cervello chiama e il corpo risponde. A volte un po’ goffamente, ma risponde. Anche Achille aveva il suo tallone, quindi non può permettersi il mio corpo di avere la sua scapola?
Tutto ha ripreso il suo corso e a volte sembra che non sia cambiato proprio niente. Incontro le persone che mi dicono:
"Caspita, giusto perché lo so che hai avuto un ictus. Non si vede niente, sei tornato esattamente come prima.”
"Eh, insomma, le cose difficili non riesco ancora a farle.”
"Vabbè, mica devi fare i salti mortali!”
“Già..."
Che ne sanno loro, giustamente.
Ricordo bene quel giorno.
Una mattina come tante sono uscito di casa, come sempre. Poi, all’improvviso, è successo un bel casino. In un ampio parcheggio di un anonimo centro commerciale. Il primo soccorso, la diagnosi, il ricovero, la paura, lo scampato pericolo, l’attesa per l’inizio del percorso di riabilitazione. Vedevo i miei cari con volti preoccupati che eseguivano strani rituali, incrociavano le dita e invocavano San Camillo. Certo, pensavo io, giusto invocare il De Lellis, fondatore dell’Ordine dei Chierici regolari Ministri degli Infermi, patrono universale dei malati, degli Infermieri e degli ospedali, nonché dell’Abruzzo. Lui sarà in grado di intercedere in mio favore, non c’è miglior santo da tirare in ballo. Ben più pragmatici e laici erano i miei cari. Ma quale santo! Incrociavano le dita nella speranza che finissi nelle mani del Presidio Sanitario che porta il nome di quel giusto servo di Dio. Che lo portasse proprio perché è stato fondato dall’ordine dei Camilliani a loro non importava. Era sinonimo d’eccellenza e lì un eventuale recupero sembrava possibile.
Le preghiere furono ascoltate e, sotto lo sguardo professionale, sensibile, empatico e scrupoloso di tutto il personale sanitario, posso vantare al Sanca, oltre ai due mesi di ricovero, due successivi cicli di Day Hospital, prossime terapie ambulatoriali, anche svariate altre attività, tra cui la stesura e successiva pubblicazione di un diario del mio primo e intenso soggiorno.
In quel tempo sospeso, Neurologic park è per me una zattera di carta in mezzo al naufragio. Per mettere ordine, per definire e ridefinire, per ascoltare me stesso e gli altri. Per raccogliere i pezzi, saldare legami, trovare connessioni, formulare nuove domande.
Vedere la malattia come un’occasione, un propulsore di cambiamento, addirittura un dono, è forse un privilegio dei fortunati. Perché così mi sento: privilegiato e fortunato. Perché ogni giorno cerco di mettere sul piatto della bilancia le rinunce e le conquiste, e il peso pende inequivocabilmente dalla parte dei guadagni.
Poi non so, forse mi sbaglio e invece si rimane più o meno della stessa sostanza di cui eravamo fatti. Quando non riusciamo a prendere sonno per gli stessi problemi di sempre, quando continuano a ferirci i tradimenti, quando ci ritroviamo a vivere le stesse frustrazioni. L’esistenza è sempre la stessa e la malattia non l’ha fatta di certo scappare lontana. Forse però l’ha resa un poco più piena e più intensa.
Vai a capire, in fin dei conti, cos’è davvero la guarigione.
Un processo di trasformazione profonda? Una confluenza di sensi? Forse la malattia è solo un passaggio, una tappa del percorso? Il tappone di montagna, quello duro, spietato e selettivo?
Forse sul passo di montagna dovremmo abbandonare la strada alla ricerca di una grotta solitaria in mezzo alla foresta, per vivere da eremiti illuminati?
Sto andando fuori tema: meglio restare con i piedi ancorati a terra.
Anzi no. Devo continuare a frequentare i terapisti del Presidio, che sebbene restino scettici sul triplo avvitamento del salto mortale all’indietro, continuano invece a non darmi limiti alle combinate e rotolanti capriole sopra i prati verdi della vita.
Testimonianza della Mamma di Roberto al Centro Vega
Un’oasi di speranza nel mondo dell’autismo
Quando, ormai quasi sei anni fa, i Dottori ci hanno comunicato la diagnosi di nostro figlio, il mondo si è fermato. AUTISMO. Una parola difficile da accettare, allora come oggi. Ma dopo il primo momento di dolore e di paura, ho saputo che avrei fatto qualsiasi cosa per aiutare mio figlio a raggiungere il suo pieno potenziale. Ho iniziato a leggere libri, cercare risposte, parlare con altri genitori che avevano già iniziato questo cammino. Ho trovato dei meravigliosi terapisti privati durante il nostro percorso, sì privati... perché la ASL dopo la diagnosi e dieci sedute di logopedia e neuropsicomotricità ci ha abbandonati al nostro destino.
Finché un giorno mi ritrovo a parlare con colui che ora è un bellissimo e grandissimo uomo autistico.
Mi informa della presenza di un meraviglioso centro in cui anche lui andava da bambino, un centro con dei Dottori molto bravi ed accoglienti che lo hanno aiutato molto nel suo cammino, il centro Vega.
Inizia la mia ricerca di informazioni e contatti. Già dal primo contatto telefonico, percepisco la gentilezza e l’accoglienza dei miei interlocutori. Riesco ad inserire il mio bambino in lista d’attesa e dopo circa un anno finalmente inizia il nostro percorso.
Il Centro Vega è stato un’oasi di speranza e di supporto per la nostra famiglia. La vostra équipe di terapisti, educatori e professionisti ha dimostrato una competenza e una sensibilità eccezionali nel lavorare con nostro figlio e nel rispondere alle nostre richieste di aiuto su necessità ed esigenze che per la maggior parte dei genitori non rappresentano un ostacolo o una difficoltà, ad esempio il semplice lavarsi i denti per alcuni di noi, rappresenta una difficoltà immane, ma grazie a voi, anche questo è stato più semplice. La sensazione meravigliosa di non dover sballottolare mio figlio in tre posti differenti per fare le sue sedute di logopedia, psicomotricità ed educativa, ma di poter fare tutto in un solo luogo è stato utile e poco stressante sia per lui che per me, una sensazione mai provata!
La vostra capacità di comprendere e di rispondere alle esigenze individuali di ogni bambino è evidente e rassicurante per noi genitori, L’ambiente che avete creato è accogliente e sicuro, Noi purtroppo abbiamo terminato il nostro percorso “gratuito” con il vostro centro, ma abbiamo deciso di rimanere da voi privatamente, non nego con molti sacrifici. Il costo delle terapie è oneroso e la strada per arrivare da voi è tanta, ma la vostra dedizione e passione ci ripagano dei sacrifici. Vorrei sottolineare l’importanza di aumentare le risorse e il personale per ridurre le lunghe liste di attesa che molte famiglie devono affrontare. Il vostro Centro fa un lavoro incredibile, ma purtroppo i bambini e le famiglie che ne hanno necessità sono sempre più numerose, so di mamme che non riescono nemmeno ad inserire i propri figli in lista d’attesa.
Grazie per tutto ciò che fate.
Testimonianza di Tiziana Nasi
Lo vedo con i miei occhi e lo percepisco nel profondo
Per i torinesi il “San Camillo” è una certezza, semplicemente essendo: “IL SAN CAMILLO!” Eppure, io, che da parecchi anni conosco bene e stimo molto Marco Salza, suo Direttore Generale, al San Camillo non c’ero mai stata, fin quando non mi trovai con un “inquilino” indesiderato.
Non è piacevole avere la malattia di Parkinson, ma è certissimo che al Presidio dei Camilliani tutti, da quando entri a quando esci, fanno il possibile, e riescono nel loro intento, di rendere il tuo sgradito ospite meno assillante e antipatico; ma come Semplicemente perché tutti, davvero tutti quelli che vi operano sono gentili, premurosi, simpatici, sorridenti ed evidentemente, ultimo, ma non ultimo, molto preparati, professionali e rassicuranti. Questo vale, anche per tutte le altre patologie, lo vedo con i miei occhi e lo percepisco nel profondo.
Non siamo, ahimè, abituati al concetto di Sanità, di Servizio Sanitario efficiente, pulito, vivo e pulsante e non sovraffollato, ma al San Camillo queste cose le troviamo.
La sensazione per me forse più sorprendente e particolare è quella di sentirmi allo stesso tempo in un rapporto “privilegiato”, a uno a uno con il mio terapista e contemporaneamente vicina a persone con problematiche analoghe alle mie e come me pacifiche e rasserenate!
Le giovani leve mediche e paramediche formano, con i “titolari”, una squadra unita, compatta, vincente e questo va, evidentemente a favore dei pazienti che al San Camillo sentono che gli operatori tutti tifano per e con loro!
Se mi fosse concesso anche un consiglio, direi di pensare anche alla “Pet Therapy”, e perché non allestire anche uno spazio dove chi lavora al Presidio o chi vi è in cura può lasciare il proprio cane per alcune ore?
Grazie San Camillo, ci vediamo lunedì
L’impegno del Presidio per un mondo più inclusivo per le persone autistiche.
La storia di Alessandra, paziente del nostro Presidio.
Fondamentali i percorsi riabilitativi mirati, innovativi e personalizzati come quelli portati avanti dal Presidio Sanitario San Camillo attraverso ricerca clinica, tecnologie avanzate e il lavoro quotidiano di un’équipe multidisciplinare dedicata al benessere del paziente e dei caregiver.