L'esperienza religiosa nei reparti Covid: sulla barca con Dio

Chi potrà mai dimenticare l’anno 2020? Le pandemie pensavamo fossero ormai relegate ai libri di storia e invece, senza neanche accorgercene, ci siamo imbattuti in una di esse. Qualche telegiornale aveva parlato del Covid 19 o Coronavirus, si diceva colpisse le vie respiratorie e che si stava diffondendo nella lontana Cina.

Improvvisamente nel marzo 2020 ci siamo trovati come invasi da un nemico invisibile e di cui non si sapeva quasi nulla; ci chiedeva di abbandonare tutte le nostre abitudini, rinunciare a tutto ciò che caratterizzava la nostra quotidianità, costringendo il mondo intero alla segregazione nelle proprie abitazioni, senza certezze e con molte paure.

Di quel periodo ricordo i viaggi fatti a Milano su richiesta del direttore dott. Marco Salza per recuperare presso la clinica san Camillo i dispositivi di protezione individuale necessari per i nostri operatori sanitari. Ricordo la desolazione che trasmettevano le strade di Torino e Milano completamente deserte. Ricordo la tristezza del dover celebrare le s. Messa e il triduo Pasquale senza fedeli nella cappella del nostro presidio, il divieto di poter girare nei reparti, che impedì anche al cappellano padre Giancarlo di poter visitare i pazienti per non essere causa di diffusione del virus.

Per poter essere in qualche modo vicino a chi viveva questo periodo di forzato isolamento come malato e anche per trasmettere speranza e un messaggio di fede a chi lavorava al servizio dei degenti decidemmo come comunità camilliana di creare su grandi teli delle immagini sacre da appendere sulla ringhiera della scala anti incendio.

Isolamento, lontananza e solitudine sono forse le motivazioni che hanno reso questo tempo di pandemia estremamente difficile. Penso sia per questo motivo che, durante la seconda ondata del virus avvenuta nell’autunno 2020 e che ha visto il presidio sanitario impegnato con due reparti dedicati ai pazienti colpiti da Covid, si è sentita la necessità di offrire un servizio di assistenza religiosa agli ammalati con la presenza di un cappellano.

Era necessario che gli ospiti, già provati da diverse settimane di isolamento dai loro parenti, non sentissero lontano anche Dio. Non c’era ancora il vaccino e, poiché i giovani sono meno esposti al rischio del contagio, fui scelto io per tale servizio.

L’impatto con il reparto dei malati Covid non è stato semplice; la prima volta che mi sono vestito con tutti gli ausili necessari nel luogo adibito a filtro sembrava dovessi prepararmi per una battaglia: guanti, mascherine, visiere, igienizzanti, ecc. Col passare del tempo però questo sentimento ha lasciato spazio ad un altro pensiero: la preparazione era in vista non di una battaglia ma di un incontro.

Si accedeva in quei reparti, ognuno secondo il proprio ruolo, per combattere sì una malattia ma soprattutto per trasmettere umanità e calore. Il Covid imponeva lontananza e noi dovevamo trasmettere vicinanza, senz’altro quella umana ma anche quella di Dio che passa attraverso quella dell’uomo. Anche se la pandemia faceva sembrare la nostra clinica come la barca descritta dai vangeli, una barca in mezzo a un mare in tempesta, non abbiamo perso la speranza e abbiamo potuto dare il meglio di noi grazie alla consapevolezza che sulla nostra barca non eravamo soli ma con noi c’era Gesù! Dai colloqui fatti con i malati posso affermare che molti di loro hanno sentito Dio vicino grazie alle cure ricevute e penso che, allo stesso modo, anche molti operatori sanitari possano affermare di aver fatto lo stesso incontro grazie ai loro pazienti.

Il mio servizio è stato piccolissimo e può essere definito una goccia rispetto al mare di attività che i nostri operatori hanno svolto in questo tempo così difficile ma rendo grazie a Dio per avermi concesso tale esperienza e benedico l’amore, l’impegno e la professionalità alla quale ho potuto affiancarmi.

padre Marco Moioli

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