Portale della Fondazione Opera San Camillo - Un Bilancio Sociale non può essere fatto soltanto di numeri: come nasce quello del San Camillo - Torino
Vivere con l'ictus: presa in carico dei caregiver
L’idea del progetto è nata durante la pratica clinica quotidiana. Ci si è resi conto di come spesso, soprattutto per pazienti più complessi, la necessità di presa in carico dei caregiver risultasse fondamentale per incrementare le abilità pratiche e garantire un buon rientro al domicilio. Ma, anche, di quanto fosse nello stesso tempo frammentaria, scarsamente documentata, disomogenea e per questo talvolta ripetitiva. Spesso accadeva che il caregiver, seppur riconosciuto informalmente già nei primi giorni, venisse realmente inserito nel percorso di cure in modo tardivo con una serie di conseguenze che potevano determinare anche un prolungamento dei giorni di degenza senza neanche rispondere in maniera adeguata, peraltro, alle nuove necessità del paziente e dei suoi cari una volta rientrati a domicilio. Queste considerazioni, unite ad alcune esperienze professionali in altri contesti ospedalieri durante il percorso di studi del master in nursing delle neuroscienze di una collega infermiera, hanno portato alla definizione di un progetto.
Anche la letteratura scientifica ci ha supportato. È infatti ormai assodato che la presa in carico del paziente colpito da ictus debba avvenire a livello di équipe interdisciplinare e che sia altrettanto necessario individuare e coinvolgere nel progetto riabilitativo il caregiver informale nell’ottica di un rientro a domicilio funzionale e nei tempi di degenza stabiliti. Un caregiver correttamente educato e addestrato rispetto all’assistenza sarà in grado di gestire appropriatamente il proprio caro a casa e saprà divincolarsi nella matassa delle complicanze burocratiche che spesso rendono più complesse alcune fasi necessarie, come ad esempio la richiesta di invalidità o la gestione degli ausili. La formazione del caregiver perché sia realmente efficace deve avvenire fin dai primi giorni di ricovero del paziente e deve essere strutturata e documentata, in modo da evidenziare le criticità e risolvere durante il periodo di ospedalizzazione, nell’ottica di un passaggio fluido verso il domicilio eventualmente in continuità con le strutture del territorio, qualora ve ne sia la necessità.
LE FASI DEL PROGETTO
La prima fase della progettazione ci ha visti coinvolti nella preparazione del materiale di supporto da utilizzare. In particolare, è stato realizzato un opuscolo informativo sulla patologia e sul percorso intra ed extra ospedaliero post ictus e sono state ideate delle schede educative da proporre al caregiver. Il piano di lavoro prevede di individuare precocemente la figura che assumerà il ruolo di caregiver, valutandone le risorse interne ed esterne per cercare di comprendere se effettivamente la persona sarà in grado di ricoprire tale ruolo e in caso contrario attivare un percorso idoneo.
La fase successiva è stata quella della sperimentazione: un vero e proprio addestramento del caregiver, realizzato dall’equipe multidisciplinare riabilitativa e basato sulle necessità assistenziali del paziente. Le macroaree di intervento riguardano attività quali mobilizzazione, igiene e cura di sé, alimentazione, comunicazione ed aspetti cognitivi correlati ai deficit neurologici che insorgono tipicamente dopo un ictus. Per ogni area sono state progettate delle schede educative che vengono compilate dal terapista di riferimento e condivise tra gli operatori in modo che tutti possano fornire indicazioni omogenee al caregiver e al tempo stesso conoscere il livello di autonomia e conoscenze raggiunte dal caregiver. Per coadiuvare e rendere efficace l’intervento di presa in carico sono previste attività di counselingcon i terapisti della riabilitazione e con il sevizio di continuità assistenziale, è accessibile un servizio di auto mutuo aiuto gestito dall’associazione Alice Onlus e verrà fornita una brochure cartacea contenente informazioni sulla patologia, sul percorso intra ed extraospedaliero e sulla gestione dei bisogni di base del paziente e sulle attività riabilitative.
L’ultima fase riguarda il rientro al domicilio. È previsto un follow up telefonico con una duplice funzione: fornire un supporto al paziente e al suo caregiver mantenendo il principio di continuità assistenziale e valutare l’efficacia e la soddisfazione relative all’intervento di supporto e di educazione erogato durante il percorso di ricovero. Il follow up ha inoltre l’obiettivo di individuare eventuali criticità o bisogni non corrisposti in modo da poter rivalutare e migliorare la proposta di presa in carico del caregiver.
I NOSTRI TRAGUARDI
Tra gli obiettivi futuri, e una volta analizzati i dati al termine della fase sperimentale, si vorrebbe estendere il metodo a tutti i reparti del Presidio e valutare lo strumento come modello valido per l’educazione dei caregiver di tutti i pazienti ricoverati indipendentemente dalla patologia convinti che la presa in carico dei pazienti pasa anche da qui. Il progetto si allinea ai valori aziendali e ha avuto un impatto significatamente positivo sulle persone assistite e sugli operatori sanitari, per noi importante capitale umano. Il progetto, infatti, ha permesso agli operatori di sviluppare un modello assistenziale e riabilitativo adeguato ai bisogni di salute emergenti, e quindi in un certo senso perseguire una responsabilità sociale; esprimere in modo più completo e di qualità la presa in carico del paziente anche attraverso azioni educative e di sostegno; tessere una rete di competenze tecniche e relazionali più efficace all’interno dell’èquipe riabilitativa; lavorare con creatività allo stesso progetto, facendo emergere le proprie attitudini, chi più organizzative, chi più pratiche chi più intellettuali; condividere le fatiche, le crisi, il dubbio del fallimento. Per quanto riguarda il paziente e il suo caregiver, hanno potuto vivere la continuità delle cure superando la parcellizzazione dell’assistenza, sentire che qualcuno si prende cura del futuro sostenendo il percorso di cura post dimissione, riuscire a sperimentarsi e superare la solitudine nella gestione della persona fragile e rafforzarsi per poter affrontare le difficoltà del quotidiano e avere ancora un collegamento con l’ospedale grazie agli interventi di follow up.
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Un Bilancio Sociale non può essere fatto soltanto di numeri: come nasce quello del San Camillo
Christian Rainero è professore associato di Economia aziendale nel Dipartimento di Management dell'Università di Torino. Fa parte del Comitato di indirizzo e del Comitato di processo che ha partecipato alla redazione del Bilancio Sociale 2018. Gli abbiamo chiesto come si è svolto il lavoro.
Come e perché nasce un Bilancio Sociale?
Il bilancio sociale è un documento di rendicontazione (attualmente) volontaria che va oltre la sintesi economico-finanziaria del bilancio d’esercizio. Il bilancio d’esercizio è quel documento che, per legge, un’azienda deve redigere periodicamente per rendicontare la propria situazione economico-finanziaria e i propri risultati economici. Ma se vogliamo valutare a tutto tondo un’azienda, non ci si può accontentare di costi e ricavi. Ogni impresa si deve interfacciare con il territorio, l’ambiente, i lavoratori: gli stakeholder. Ecco perché, a parità di cifre, due soggetti possono avere un impatto estremamente diverso sul mondo che li circonda. Il bilancio sociale fonde queste due esigenze e valuta anche questo impatto, positivo o negativo che sia.
Quali sono le linee guida che deve seguire?
Il bilancio sociale viene pubblicato ogni anno, proprio come il bilancio di esercizio. Non esistono ancora delle vere e proprie normative vincolanti, che obblighino a trattare determinate questioni oppure a scegliere certi indicatori. Esistono però delle linee guida condivise a livello internazionale, come quelle del Global reporting initiative (GRI), o a livello locale (nazionale) come quelle del Gruppo di studio per il bilancio sociale (GBS). Siamo in attesa delle linee guida specifiche per il bilancio sociale degli ETS (Terzo settore). Il San Camillo da molti anni ormai costruisce il proprio bilancio sociale; inizialmente secondo linee GBS e, successivamente, introducendo gradualmente linee guida internazionali. L’obiettivo, per le prossime edizioni, è di un passaggio a un modello di bilancio sociale che risponda al framework GRI con la definizione e il monitoraggio periodico di indicatori di impatto sociale e di perseguimento degli Sdgs “Obiettivi di sviluppo sostenibile”.
Perché occorre concentrarsi sui vari Capitali?
L’analisi dei Capitali è un approccio metodologico. Attraverso l’analisi dei capitali che influenzano e sono influenzati dalle attività del San Camillo, si vuole comunicare in modo chiaro l’integrazione esistente e necessaria tra gli aspetti economici e quelli sociali e ambientali nei processi decisionali aziendali, ma anche nella definizione della strategia, nella governance e nel modello di attività del San Camillo.
In che cosa consiste il Metodo Piemonte? Come ha operato il vostro Gruppo di lavoro?
Per la costruzione del bilancio sociale del San Camillo si è seguito l’approccio operativo del “Metodo Piemonte”, nato anni addietro da una collaborazione inter-istituzionale di Regione Piemonte, Dipartimento di Management (già Facoltà di Economia) dell’Università degli Studi di Torino, Ires Piemonte e Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Torino.
Si è lavorato per gruppi di lavoro:
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«Comitato scientifico di indirizzo», per la definizione dei riferimenti metodologici e la supervisione dell’intero processo
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«Comitato di processo», per la direzione e il controllo dell’attività formativa e operativa
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«Gruppo di applicazione metodologica e operativa», che ha curato la gestione operativa del Bilancio Sociale, secondo le metodologie e le tempistiche individuate nel cronoprogramma e in coordinamento e collaborazione con tutte le strutture interne del San Camillo.
L’intero processo e il documento sono poi stati oggetto di specifica revisione e analisi dell’«Organo di validazione professionale», che ha espresso il giudizio di conformità del documento ai requisiti del Metodo Piemonte.
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