18 febbraio, la Giornata Internazionale della sindrome di Asperger

2023-02-18
18 febbraio, la Giornata Internazionale della sindrome di Asperger

Che cos’è la Sindrome di Asperger?

 

Al giorno d'oggi riconosciamo soprattutto un disturbo di spettro autistico di primo, di secondo e di terzo livello, abbiamo quindi tre livelli di gravità.

Nel primo livello di gravità, quello più lieve, rientrano i casi definiti un tempo ragazzi Asperger o con sindrome di Asperger, ovvero ad alto funzionamento

Sono bambini spesso già verbalizzati, che hanno già delle buone competenze cognitive, ma hanno delle difficoltà sensoriali, della reciprocità, dell'interazione con gli altri. Hanno poi degli interessi di fissazione che sono difficili da orientare soprattutto quando ci si trova in un ambiente sociale allargato.

C’è, poi, un livello due, ovvero un livello intermedio di gravità e infine c’è un livello tre che è quello più intenso. Ad ogni grado ci sono poi delle sintomatologie associate che riguardano l'alimentazione, il sonno, la sensorialità, la reattività. 

Dunque è necessario dipingere un quadro il più possibile sfaccettato di tutta una serie di componenti di funzionamento che ci permettono dire se siamo all'interno di questo ambito diagnostico partendo ovviamente dalla medicina basata sull'evidenza e sulle linee guida che disponiamo a livello nazionale e quindi anche internazionale, quindi anche regionale.

Più l’età è precoce, più abbiamo una diagnosi che può variare nel tempo in base all’età evolutiva, considerata dagli zero fino ai 18 anni, che sono periodi in cui lo sviluppo del bambino cambia la conformazione cerebrale e le interazioni tra le aree cerebrali si modificano; ci sono quindi delle traiettorie evolutive che sono dettate dalle risorse interne del bambino stesso, dagli stimoli terapeutici che lui riceve, da quella che è la generalizzazione di certe strategie e dal lavoro che si fa insieme a livello abilitativo riabilitativo congiunto.

 

Dott. Giovanni Geninatti Neni
Neuoropsichiatra infantile 

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Mi chiamo Alessandra Comazzi, sono giornalista, torinese, ho 67 anni e sono neuropatica. Mi occupavo di spettacoli, facevo il critico televisivo per un quotidiano, La Stampa. Adesso mi occupo soprattutto di tornare a camminare e di reimparare a usare le mani. Un bel salto anche emotivo. Perché c’è la fede, certo, ma poi ci sono la carità, e la speranza. Le tre virtù cardinali. E ho imparato che forse, in certi momenti difficili, proprio la speranza è la virtù più impervia.

Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.

 

Leggi la testimonianza nell'articolo de L'Osservatore Romano

Alessandra Comazzi, giornalista piemontese, racconta in modo profondo e coinvolgente la sua malattia e l’esperienza fatta tra le mura del nostro Presidio.

Ecco qualche breve stralcio dell’articolo:

 

"Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.”

 

Infine aggiunge un ringraziamento molto speciale:

"La mia è una semplice testimonianza, non ho competenze tecniche o scientifiche. In questo percorso che non è solo riabilitativo, ma è anche di fede e ringraziamento, vorrei restituire a tutte le donne e gli uomini che mi sono stati e mi sono vicini, qualcosa di quello che mi è stato donato. Il dono di medici, infermieri, operatori sociosanitari, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, psicologi, è stata una continua ricerca di senso, oltre che di professionalità”

 

Leggi l’articolo per intero su La Stampa

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