Neuropsicologia: attività di ricerca continua e nuovi protocolli sperimentali

2020-10-28
Neuropsicologia: attività di ricerca continua e nuovi protocolli sperimentali

Il Servizio di Neuropsicologia del Presidio Sanitario San Camillo si occupa di valutazione e riabilitazione delle disfunzioni cognitive e comportamentali conseguenti a un danno cerebrovascolare, a un trauma cranico, a tumori cerebrali e a malattie di tipo degenerativo. 

Dal 2000 è attiva una collaborazione tra il Presidio San Camillo e il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino che ha permesso a studenti e neolaureati della facoltà di completare la loro formazione universitaria con il periodo annuale di tirocinio.  Ogni anno il Servizio di Psicologia riesce ad accogliere una ventina di tirocinanti per lo svolgimento delle 1000 ore previste.

La dottoressa Patrizia Gindri, responsabile del Servizio, da anni collabora attivamente con il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino su temi di ricerca inerenti alla consapevolezza motoria e consapevolezza corporea

A seguito di danni cerebrovascolari, come l’Ictus, possono emergere deficit nella capacità di monitorare le nostre azioni e di prevederne le conseguenze (consapevolezza motoria) oppure nella capacità di riconoscere le parti del nostro corpo distinguendole da quelle degli altri (consapevolezza corporea).

Dalla collaborazione tra il Servizio di Psicologia e il Dipartimento di Psicologia, negli ultimi anni sono state svolte 17 ricerche di grande interesse per la comunità clinica e scientifica, pubblicate su importanti riviste internazionali quali Cortex, Brain, Current Biology ecc.. che hanno messo in luce i meccanismi neurocognitivi che sottendono la consapevolezza motoria e corporea. 

In particolare, l’attività di ricerca che si svolge presso il Presidio San Camillo è caratterizzata dall'adozione di un approccio neuropsicologico, che sfrutta il comportamento patologico mostrato dai pazienti cerebrolesi come modello per comprendere aspetti che sarebbero altrimenti nascosti nel funzionamento normale del cervello. 

Grazie alla strumentazione messa a disposizione dal Dipartimento di Psicologia, le ricerche svolte su pazienti colpiti da ictus nell’ultimo decennio hanno visto l’utilizzo sia di tecniche comportamentali, come valutazioni ad hoc, test e registrazione dei tempi di reazione, sia fisiologiche, come la risonanza magnetica funzionale, l’elettroencefalogramma, l’elettromiografia e la registrazione della conduttanza cutanea

I protocolli sperimentali

Tra le varie ricerche svolte, durante il Bilancio Sociale sui dati 2019, verranno presentati due protocolli sperimentali su cui stiamo attualmente lavorando.

Il primo, sfruttando tecniche elettrofisiologiche, ha l’obiettivo di predire in pazienti con deficit motori l’outcome riabilitativo. Più dettagliatamente, stiamo indagando in pazienti affetti da emiplegia post-stroke il correlato elettrofisiologico responsabile dell’inibizione motoria (componente P300) durante un compito in cui viene richiesto di inibire dei movimenti (Go/Nogo task). 

La nostra idea è che se il sistema ha appreso di non poter muovere un arto, per il cervello diventa inutile implementare un meccanismo inibitorio, come quello che elicita la P300. Nel contesto dell’emiplegia, la presenza di una normale risposta di P300 potrebbe predire un buon outcome riabilitativo, fornendo un parametro in più in base a cui quantificare l’efficacia di un trattamento riabilitativo nel rifocalizzare il paziente sulla possibilità di muovere l’arto affetto dal deficit motorio.

Il secondo, prendendo spunto da una nota illusione percettiva, l’Illusione della Mano di Gomma, ha permesso di ideare una nuova valutazione in grado di cogliere importanti deficit della rappresentazione corporea. Nello specifico, nel setting classico dell’Illusione della Mano di Gomma si induce in individui sani la sensazione che una mano di gomma possa essere la propria mano. 

In anni recenti, portando presso il Presidio San Camillo una versione modificata di questo paradigma da sottoporre ai pazienti cerebrolesi, è stato possibile descrivere per la prima volta un disturbo subdolo della consapevolezza corporea, chiamato embodiment patologico. Questa scoperta ha permesso di mettere in luce la fragilità della consapevolezza corporea, rendendo quindi necessaria la valutazione di questi aspetti al fine di orientare il percorso riabilitativo del paziente.

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