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Il ruolo del caregiver nel post-ictus
Durante il percorso riabilitativo che deve affrontare il paziente con esiti di ictus, il servizio infermieristico si occupa della presa in carico 24 ore su 24 e della continua valutazione delle sue performance nello svolgimento delle attività quotidiane.
All’interno del personale infermieristico si trova anche il caregiver. La sua attività comprende il lavoro di professionisti sanitari e sociali, ma anche di persone che hanno a che fare con il paziente quotidianamente: familiari, amici, vicini di casa, badanti e altre figure. Si tratta di un ruolo fondamentale per il buon esito del percorso riabilitativo, in quanto componente aggiunta dell'équipe riabilitativa.
La scelta del caregiver è molto importante per il recupero funzionale
Il caregiver dev’essere:
- coinvolto in tutto il percorso di cura del paziente
- informato del piano assistenziale e del piano riabilitativo
- stimolato ad esplicitare dubbi, perplessità o problematiche (anche di carattere emotivo) che possono presentarsi
- addestrato nell'individuare i limiti e le abilità del paziente
Nell'ambito del processo di cura e del percorso riabilitativo il caregiver fornisce un supporto cruciale non solo durante tutto il percorso, ma anche nel momento della dimissione e del rientro a domicilio per organizzare e attuare il reinserimento del paziente a casa.
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Mi chiamo Alessandra Comazzi, sono giornalista, torinese, ho 67 anni e sono neuropatica. Mi occupavo di spettacoli, facevo il critico televisivo per un quotidiano, La Stampa. Adesso mi occupo soprattutto di tornare a camminare e di reimparare a usare le mani. Un bel salto anche emotivo. Perché c’è la fede, certo, ma poi ci sono la carità, e la speranza. Le tre virtù cardinali. E ho imparato che forse, in certi momenti difficili, proprio la speranza è la virtù più impervia.
Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.
Leggi la testimonianza nell'articolo de L'Osservatore Romano
Alessandra Comazzi, giornalista piemontese, racconta in modo profondo e coinvolgente la sua malattia e l’esperienza fatta tra le mura del nostro Presidio.
Ecco qualche breve stralcio dell’articolo:
"Rosso 32. Era il mio codice identificativo al San Camillo, il presidio sanitario che a Torino è specializzato in riabilitazione. I reparti dell’ospedale hanno il nome dei colori, Verde, Giallo, Lilla, Azzurro e, appunto, Rosso. Il 32 era il numero del mio letto. Un modo, forse, per colorare la vita dei pazienti affetti da menomazioni e disabilità, molti dei quali con validi motivi per vedere la vita in nero fosco, al massimo grigio. Potrebbe sembrare un modo puerile per affrontare la sofferenza, ma i padri Camilliani sanno quello che fanno.”
Infine aggiunge un ringraziamento molto speciale:
"La mia è una semplice testimonianza, non ho competenze tecniche o scientifiche. In questo percorso che non è solo riabilitativo, ma è anche di fede e ringraziamento, vorrei restituire a tutte le donne e gli uomini che mi sono stati e mi sono vicini, qualcosa di quello che mi è stato donato. Il dono di medici, infermieri, operatori sociosanitari, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, psicologi, è stata una continua ricerca di senso, oltre che di professionalità”
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